Ad un mese dall'inaugurazione della mostra romana "Ipotesi Metaverso" di Palazzo Cipolla, alla quale ha preso parte con una delle opere più accattivanti e apprezzate dal pubblico, abbiamo intervistato Fabio Giampietro, crypto artist italiano classe 1974.

Cointelegraph Italia: "Ciao Fabio, grazie per essere qui con noi. Che percorso artistico hai seguito, e come ti sei avvicinato al mondo crypto?"

“Per parecchio tempo sono stato “soltanto” un pittore, nel senso che mi dedicavo esclusivamente all’arte fisica. Poi ho iniziato a capire quanto fosse importante creare una gamification per il pubblico. Era tanto tempo fa: già nel 2005/2006 la gente ha cominciato a fotografarsi davanti ai quadri facendo finta di caderci dentro. È lì che ho pensato di far interagire le persone con le mie opere: ho quindi cominciato a usare sistemi di interazione come la Kinect, sensori e telecamere. Poi è arrivata la realtà virtuale, che era il mezzo perfetto per far entrare la gente nei quadri. Sono stato il primo in Italia ad usarla applicandola all'arte. E il progetto è andato molto bene, ho vinto premi e girato il mondo".

"Oggi gli artisti digitali si identificano soprattutto con gli NFT perché sono diventati mainstream, ma in realtà l’arte digitale esiste dagli anni sessanta, quando veniva utilizzata da sviluppatori e ricercatori informatici per spiegare concetti e favorirne l'apprendimento. Nel mio caso, una delle cose che mi ha più portato fortuna è che, prima di approcciarmi all'arte digitale, avevo già un mio mercato legato a quello che facevo come pittore tradizionale: lavoravo con molti mercanti e galleristi. Anche le mie opere 3D partivano sempre da un lavoro su supporto fisico: ogni faccia o palazzo che ho realizzato è stata prima dipinta a mano. Avendo alle spalle una ventina di anni di percorso artistico, avevo già dei coefficienti da mantenere e collezionisti che credevano in me. Quando nel 2020 c’è stata la vendita del Picasso’s Bull di Trevor Jones da parte del collezionista Pablo Fraile, a una cifra importante, ho deciso di essere inserito nelle piattaforme Nifty Gateway e SuperRare. Era un periodo di boom, positivo per tutti gli artisti. E poi inizialmente nel mercato c'erano solo – pochi – appassionati di informatica e blockchain: quando mi sono entrato su SuperRare eravamo circa 170 iscritti.

Cointelegraph Italia: "Quindi il tuo processo artistico è sempre doppio?" 

“Sì, digitale e fisico; il processo di fruizione invece è del tutto particolare: grazie al visore si può effettivamente entrare nel quadro attraversando la tela”. 

Cointelegraph Italia: "Credi che l’arte fisica e quella digitale abbiano un valore diverso?"

“Credo di sì, ma ho sempre cercato di fonderle in un’unica cosa. Vorrei essere un ponte fra i due mondi: la mia speranza è che si uniscano sempre di più, sia nel processo artistico che nella loro vendita. Investo in crypto da parecchio, quindi sapevo degli NFT anni fa, ma all'inizio li ho osservati come uno spettatore divertito. Nel frattempo mi chiedevo come dare autenticità alle mie opere fisiche e virtuali. La blockchain è stata una risposta". 

Cointelegraph Italia: "In prima battuta hai definito il mercato degli NFT 'mainstream'...Credi sia proprio così?"

"Sì, ma non si tratta di generalismo. È esploso grazie alle grandi vendite di Beeple. All’inizio eravamo tutti convinti che gli NFT avrebbero completamente mangiato il sistema  dell'arte tradizionale, che era chiuso e piramidale, con pochi gatekeeper che decidevano chi entrava e chi no. Poi, i grossi collezionisti del mondo crypto hanno dato a tutti nuova possibilità di essere artisti senza alcun limite. A mio parere i due mercati – NFT e tradizionale – si sono poi differenziati: quello NFT ha preso una deriva diversa. C’è stato un momento storico in cui la tensione era tutta sugli 1:1, i pezzi unici. Poi, in molti hanno cominciato a pensare che avere una sola opera fosse limitante. È vero: un NFT non è solo una certificazione dell’autenticità e del possesso di un’opera d’arte. Ma questa cosa ha creato una gamification esagerata di ogni cosa. Tutti volevano avere delle utilities. Ad oggi, nell'arte digitale siamo sempre più a diretto contatto con i collezionisti, che sono pronti a darci un feedback veloce ogni volta. Il mondo tradizionale invece è statico, e va avanti con le stesse dinamiche da anni". 

Cointelegraph Italia: "Parliamo di 'Ipotesi Metaverso'". 

“Ipotesi Metaverso" è una delle mostre più interessanti che ci sono a Roma in questo periodo: si chiama “ipotesi” perché in realtà il metaverso non c’è: nulla è online. È stata composta con le opere di artisti che, anche prima che si usasse il vocabolo "metaverso", avevano ipotizzato mondi immateriali, da De Chirico ad Escher, fino ai futuristi… Un curatore d'arte classica e una curatrice d'arte digitale hanno fatto sposare degli artisti contemporanei che lavorano con le nuove tecnologie con gli artisti del passato che le ipotizzavano. La mia opera è un’altalena interattiva, un portale verso un'opera digitale. Volevo che lo spettatore entrasse attraverso questo varco, che è anche molto simile a quelli dell’iperspazio degli anni 80: regala una prospettiva centrale in cui fiondarsi. Espongo in "Ipotesi Metaverso" proprio perché sono stato uno dei pionieri di questo sistema". 

Cointelegraph Italia: E la tua ipotesi di metaverso è utopica o distopica?

"Sono distopico un po’ da sempre in realtà. Ad esempio, ho usato quasi sempre il palazzo come simbolo del costruire umano. È un po’ come Babilonia: costruiamo, costruiamo, costruiamo…Ma cosa stiamo costruendo? Le mie megalopoli hanno sempre delle forme umane: le uso per rendere omaggio ai personaggi che hanno ispirato la mia ricerca, spesso legati al mondo della crittografia o della blockchain, che ci ha permesso di avere un nuovo linguaggio e una nuova visibilità. In generale, il mondo della crittografia ha dato a tutti una nuova possibilità di sperimentare. Molti artisti non sarebbero nemmeno artisti se non esistesse questa cosa". 

"Io credo che il metaverso sia tutt’altro che distopico: quando ho cominciato a lavorare con a realtà virtuale tante persone erano imbarazzate e curiose, ma si facevano fare foto con il caschetto: per loro era una cosa strana e nuova. All'inizio, quando parliamo di metaverso, credevamo tutti che ci avrebbe definitivamente isolato. Ma la maggior parte della gente boomer come me non si rende conto che questi device creano possibilità di socialità ancora più grandi. Però, in linea di massima credo che non siamo pronti per questo metaverso; la corsa è stata innanzitutto la pandemia che ha costretto tutti a un’immobilità e a un uso esagerato dell’online. La promessa del metaverso è quella di creare dei mercati paralleli in cui vendere oggetti a più livelli: nel mondo reale e nel virtuale: un iperconsumismo pan e pluridimensionale”. 

Cointelegraph Italia: "Hai parlato di metaverso come modo per socializzare. Credi che crei barriere all’interno della società? E come credi che l’arte possa trattare questo problema?"

“Prima di tutto bisognerebbe capire chi è più fortunato: chi è dentro o chi è fuori dalla barriera? Secondo me è solo una soglia temporanea. Anche mia madre non usava la tecnologia, ma con l’arrivo di Facebook ha cominciato. Ora l’interfaccia utente è molto semplice: sono stati gli smartphone a fare in modo che tutto fosse più facile. Il metaverso è complicato solo se collegato alla blockchain, ma in realtà qualsiasi videogioco multiplayer è già un metaverso, e le barriere d’ingresso per i videogiochi online non ci sono. Invece, usare un wallet è ancora difficilissimo. Quando non vedremo più i wallet, sarà tutto più facile".