Dato l'acceso dibattito attualmente in corso sull'elevato consumo energetico di Bitcoin (BTC), qualcuno potrebbe rimanere sorpreso del fatto che Greenpeace, l'organizzazione per la difesa dell'ambiente per eccellenza, è stata una delle prime entità ad adottare ufficialmente la criptovaluta.

Nel 2014, Greenpeace ha messo a punto una piattaforma per accettare donazioni in Bitcoin. Tuttavia la scorsa settimana, ora che l'attenzione del grande pubblico è focalizzata sui consumi delle criptovalute Proof-of-Work, l'organizzazione ha annunciato che smetterà di supportare BTC.

Quest'anno i timori per il riscaldamento globale sono stati accentuati da un bull market senza precedenti, che ha conseguentemente suscitato un forte interesse da parte dei miner e fatto impennare i consumi energetici delle criptovalute PoW. Secondo uno studio condotto dalla Vrije Universiteit di Amsterdam, fra luglio 2020 e marzo 2021 i consumi della blockchain di Bitcoin sono raddoppiati.

Travis Nichols, Media Director di Greenpeace USA, ha spiegato che negli ultimi mesi il profilo ambientale di Bitcoin è divenuto molto più chiaro. È per questo motivo che l'organizzazione ha deciso di interrompere il proprio supporto per BTC, nonostante di fatto le donazioni in crypto ricevute non fossero state moltissime.

Nichols ha contestualizzato il dilemma energetico di Bitcoin nell'ottica più ampia dell'infrastruttura digitale globale:

"L'enorme e sempre crescente quantità di energia necessaria per far funzionare Bitcoin è principalmente dovuta alla particolare tecnologia alla base di questa valuta digitale. Tuttavia, fa anche luce su una sfida più ampia relativa al futuro di Internet.

Nei prossimi anni, man mano che i servizi web cresceranno e diverranno più complessi, la domanda per la potenza di calcolo continuerà a salire: e questo richiederà molta più energia."

Nichols ha sottolineato che attualmente solo un quinto dell'elettricità utilizzata nei data center di tutto il mondo proviene da fonti rinnovabili: un problema che dovrà essere risolto al più presto, per rendere sostenibile l'espansione di Internet e il suo ruolo nella crescita economica.

Nel tentativo di contrastare l'ondata di FUD che nelle ultime settimane si è abbattuta su Bitcoin, alcune importanti figure dell'industria crypto hanno evidenziato il fatto che non si conoscono i veri consumi energetici del settore bancario.

Uno studio condotto da Galaxy Digital ha tentato di dare una risposta a questa domanda, arrivando alla conclusione che in realtà Bitcoin (113,89 TWh) consuma molta meno sia rispetto al sistema finanziario tradizionale (263,72 TWh) che all'industria dell'oro (240,61 TWh).

Tuttavia, alcuna analisti esterni al settore hanno messo in discussione tale studio, in quanto si concentra soltanto sui dati aggregati e non su quelli relativi. Un articolo pubblicato dalla London School of Economics evidenzia che "ogni singola transazione in Bitcoin utilizza la stessa quantità di energia di 778.988 transazioni con carta di credito, [e ha] la stessa carbon footprint di 1.218.903 transazioni."

Secondo Nichols, è necessario che l'intera infrastruttura alla base di Internet venga alimentata da "fonti di energia pulita che aiutano, non ostacolano, la lotta al cambiamento climatico."

Persino Vitalik Buterin, celebre co-founder di Ethereum, si è espresso sulla questione, affermando che Bitcoin potrebbe perdere terreno rispetto alle altre criptovalute se "rimarrà fedele alla sua tecnologia". Qualcuno tuttavia ritiene che, col tempo, il mining di Bitcoin incentiverà l'adozione di fonti di energia rinnovabili.