Attualmente la Cina detiene oltre la metà della potenza di mining di Bitcoin a livello mondiale. Ciononostante Jameson Lopp, co-founder e CTO di Casa, ha liquidato i timori secondo cui i miner cinesi rappresentino una minaccia per BTC.
Nonostante molte persone abbiano espresso preoccupazione per una tale concentrazione di hashpower in Cina, Lopp fa notare come, anche nell’ipotesi di un 51% attack sulla rete Bitcoin, gli hacker non potrebbero fare in realtà molto.
Lopp ha infatti spiegato che un malintenzionato non può rubare Bitcoin altrui, né cambiare le regole di consenso, né può modificare transazioni valide già approvate. L’unica cosa di fatto possibile è spendere due volte i propri BTC.
Il modo migliore per capitalizzare su un attacco di questo tipo è scambiare su un exchange i fondi rubati, convertendoli in “criptovalute resistenti alla censura o stablecoin”. Questa operazione, però, presenta notevoli ostacoli a fronte delle procedure di Know Your Customer messe in atto dalle piattaforme di trading. Inoltre non avrebbe molto senso, da un punto di vista meramente economico, vendere una quantità considerevole di Bitcoin tutta nello stesso momento:
“Dopo l’attacco, il valore dei BTC che detieni ancora probabilmente diminuirà molto, quindi agire in questo modo potrebbe risultare controproducente.
Inoltre, faresti meglio a non commettere errori quando fai l’accesso all’exchange che hai scelto. Per fare un esempio, un hacker ha restituito 25 milioni di dollari di fondi rubati dopo aver reso pubblico il proprio indirizzo IP.”
Può un solo Stato controllare l'intero network di BTC?
Loop ritiene che sarebbe quasi impossibile per un singolo Stato controllare pienamente l’attività di mining e che, comunque, gli stakeholder prenderebbero subito delle contromisure contro un atto ostile.
Anche qualora l’attacco non fosse portato contro i singoli centri di mining ma contro bersagli più semplici (il 70% dell’hashpower in Cina è coordinato da meno di 10 mining pool) i miner possono cambiare pool molto facilmente. Inoltre, è molto difficile compiere simili operazioni di nascosto, in quanto ci sono plurime società indipendenti che postano degli avvisi sui social media appena individuano dei malintenzionati:
“Mi risulta difficile immaginare che uno Stato possa ottenere velocemente e segretamente abbastanza hashpower da eseguire un attacco che duri più di qualche ora.”
Secondo Lopp, la motivazione per cui in Cina c’è una tale concentrazione di hashpower è legata alla produzione dei processori da mining, che avviene prevalentemente in Asia. Inoltre, il Paese asiatico ha “abbondante energia a basso costo”, nonché un sistema politicamente ed economicamente stabile che favorisce le infrastrutture di mining.
Lopp ha quindi concluso dicendo che qualsiasi mining attack su larga scala sarebbe “poco efficace”.
Come precedentemente riportato da Cointelegraph, nel lungo periodo la competizione nel mercato dei semiconduttori continuerà ad intensificarsi ed altre fonti di energia a basso costo verranno utilizzate in tutto il mondo: per queste ragioni, il dominio della Cina sul mining non durerà ancora molto.