Con una produzione artistica in cui spiccano scenari dark e, talvolta, paradisiaci, Dangiuz – pseudonimo di Leopoldo D’angelo – è un crypto artist italiano classe 1995. Colpiti dalle sue opere distopiche, abbiamo deciso di intervistarlo per conoscere più a fondo la sua arte. 

Ciao Dangiuz, grazie per aver accettato la nostra intervista. Da dove nasce la tua esigenza di fare arte? 

“Sono sempre stato un ragazzino creativo. Ancora prima di avere internet, da piccolo amavo usare il computer e Paint. Crescendo, poi, mi sono avvicinato al mondo della fotomanipolazione con Photoshop. A dodici anni postavo i miei lavori online su dei forum, dove la gente mi dava feedback e consigli per migliorare. La passione cresceva, quindi ho deciso di iscrivermi ad una scuola di grafica e fotografia dove mi sono diplomato a diciannove anni. Da lì ho cominciato le prime collaborazioni facendo grafica tradizionale: bigliettini, locandine, biglietti da visita… Poi, nel 2016 ho scoperto il 3D, che è quello che faccio adesso e che mi ha permesso di fare lo switch da grafico tradizionale ad artista. Era un ramo del tutto sconosciuto qui in Itala, ma scoprendolo ho subito capito che aveva un potenziale incredibile; ho allora iniziato a creare le prime opere e a postarle sui social. In definitiva, posso dire che il percorso per diventare artisti indipendenti è piuttosto lungo. Nel mio caso ha richiesto tanti anni”.

E come hai scoperto gi NFT? 

“Nel 2020 Nifty Gateway – nota piattaforma di aste online digitali – mi ha mandato un’email: avevano visto i miei lavori su Instagram e volevano chiedermi se avessi voglia di utilizzare i loro servizi. Ho risposto di sì, ma c’è voluto un po’ di tempo. Era metà 2020, il periodo del Covid, e avevo parecchi problemi con il lavoro… All’inizio osservavo il mondo NFT solo da fuori. Ma vedendo che tanti amici artisti continuavano ad entrarci, appena è stato possibile li ho seguiti”. 

C’è qualche artista che ti ha aiutato a formarti sul mondo crypto? 

“Diciamo che nel mio caso la sorte mi ha permesso di avere una strada in discesa. Conoscevo già le crypto: nel 2017 avevo comprato ETH. Avevo degli amici che erano in BTC dal 2014. Ho semplicemente unito due cose che già conoscevo: le crypto, appunto, e l’arte, che faceva parte della mia vita già da tempo. Ho invece aiutato molte persone insegnando loro le regole di base: il cold wallet, i rischi, tutto quello a cui stare attenti…”. 

Parliamo della tua produzione. L’ultima opera che hai pubblicato su Instagram, “Ectogenesis”, ci sembra piuttosto inquietante… Come mai l’ambientazione è così cupa?

“Ti dico: per quanto riguarda il mood delle mie opere creo quello che sento al momento. Quando le inizio non ho un’idea precisa. Alcune sono fantastiche, altre più gioiose o paradisiache; alcune sembrano un sogno in cui si vorrebbe vivere, altre sono più horror e dark… Ectogenesis è un concept ispirato da Matrix: volevo riprendere la scena in cui ci sono tantissime capsule di bambini nati in provetta dalle macchine. Il bambino malformato al centro dell’opera è stato fatto così di proposito”. 

…La tua arte quindi esprime un rapporto tormentato con la tecnologia? 

“No. Se posso fare arte lo devo soprattutto alla tecnologia. Sono affascinato dalle macchine. Semplicemente, la mia arte riprende il messaggio politico e distopico del cyberpunk: che stiamo andando incontro ad un futuro sempre più incerto dove chi ha di più ha sempre di più, chi ha di meno ha sempre di meno”. 

È lo stesso messaggio delle opere di Annibale Siconolfi?

“Credo che i suoi lavori abbiano un mood meno tragico. I suoi paesaggi sono fantastici e futuristici, ma racchiudono comunque molta natura, sole e civilizzazione. Forse è più positivo di me; io sono più dark. Tra l’altro Annibale è un mio grande amico”. 

Secondo te il mercato artistico NFT ha bisogno della mediazione di attori terzi o si muove autonomamente? 

“Entrambe le cose, ma la mediazione è positiva se fatta nel modo giusto. Ad esempio, credo che la casa d’aste Christie’s si stia muovendo molto bene. Cura le aste e le esibizioni con una ricerca profonda, anche per quel che riguarda i collezionisti. Strizza l’occhio all’arte tradizionale… A volte ci riesce, altre no. Collezionisti e artisti del mondo fisico sono ancora diffidenti verso il Web 3. Ma credo che con il tempo le due cose possano coesistere e convivere”. 

E tu hai mai pensato di lavorare su supporto fisico? 

“Sì, tante volte. Ma non credo che renda come può fare uno schermo digitale. Le miei opere lavorano tanto sull’effetto neon. Le luci, ad esempio, vengono trasportate in modo un po’ fisico, facendo leva sui pixel e i led dello schermo, che sono molto luminosi. Su supporto fisico non sarebbe lo stesso. Ma non escludo che in futuro possa pensarci più seriamente”. 

E del metaverso cosa ne pensi? 

“Non sono troppo aggiornato e non ho molta esperienza. La parola metaverso alla fine è una buzzword: tirata qui e lì per cercare di indicare, più o meno bene, uno spazio virtuale. Semplicemente, credo che ci sia ancora tanto lavoro da fare. Siamo in una fase embrionale”. 

Quindi non hai mai pensato di usare i tuoi scenari per costruire ambientazioni nel metaverso?

“No, perché alla base c’è un problema tecnico. Molti metaversi utilizzano quella che è la stessa tecnologia che si usa per i videogiochi, ossia il live rendering. Quello a cui lavoro io, invece, ha piuttosto a che fare con l’industria del cinema: si tratta di offline rendering. Nelle mie opere non puoi muoverti e interagire con l’ambiente circostante, ma solo guardare da spettatore passivo ciò che è già stato girato. È come guardare un film”. 

Dove esporrai prossimamente?

“Ho avuto molte esibizioni sia in Italia che all’estero; nei prossimi mesi avrò una mostra a Roma con altri artisti e poi una nella città di Tokyo, a WEN Tokyo. Esporrò due mie opere distopiche: una è Bridge of death, che ho venduto su Superare. Rappresenta un lago con un ponte di legno. All’orizzonte si vedono delle barche e un’enorme statua romana con delle luci rosse sopra. Ci sono anche dei ragazzi che guardano l’orizzonte. Insomma, una semplice ambientazione…”. 

Stiamo per salutarci. Chi sarà Dangiuz fra dieci anni?

“Dieci anni fa non immaginavo di essere qui, quindi non saprei rispondere. Sono felice di quello che sto facendo: mi piace e mi diverto. Sono incredibilmente contento e grato per tutti i miei traguardi. Ad oggi cerco di fare quello che mi piace e di avere un mio spazio. Indubbiamente continuerò così”.