Stando a quanto riportato lunedì 12 febbraio dalla Associated Press, quest'anno l'Islanda consumerà più energia per il mining di criptovalute che per le abitazioni. Il clima naturalmente freddo e l'abbondante quantità di energie rinnovabili sono le due ragioni principali che hanno portato alla recente ondata nella nazione insulare di compagnie per il mining di criptovalute.

L'imprenditore islandese Johan Snorri Sigurbergsson della società energetica Hitaveita Sudurnesja ha predetto che quest'anno il consumo energetico del paese per il mining di criptovalute raddoppierà, raggiungendo i 100 megawatt: più di quanto consumano per le proprie abitazioni i 340.000 residenti dell'isola.

Sigurbergsson ha dichiarato alla AP che quattro mesi fa "non avrebbe mai predetto tale fenomeno", ma poi "il prezzo del Bitcoin è arrivato alle stelle". Ha inoltre rivelato di aver recentemente trattato con un'azienda di mining disposta ad acquistare 18 megawatt.

Le macchine per il mining di Bitcoin richiedono grosse quantità di energia per eseguire i calcoli necessari a trovare "hash", operazione che premia i miner con una ricompensa in criptovaluta. Sono già state proposte delle alternative al metodo corrente fortemente dispendioso in termini energetici, come ad esempio l'utilizzo di un sistema Proof-of Stake invece che Proof-of Work, oppure lo sfruttamento di energie rinnovabili per l'alimentazione di tali macchine.

Rispetto ai siti di mining in Cina, alimentati a carbone, quelli situati in Islanda producono una quantità d'inquinamento molto inferiore: hanno infatti accesso ad un gran numero di centrali elettriche geotermine e idroelettriche, alternative più economiche ed ecologiche alle tradizionali centrali a carbone.

Keflavik, piccola dittadina costiera situata in una penisola nel sud dell'Islanda, ospita ben tre dei siti di mining di Bitcoin più grandi del paese. Queste "farm" per il mining possiedono speciali mura aperte agli elementi, che permettono al freddo vento oceanico di raffreddare l'hardware in maniera naturale.

Negli Stati Uniti, dove le compagnie di mining si stanno spostando in massa a Washinton per sfruttare il prezzo conveniente dell'energia elettrica, l'infrastruttura di una piccola contea è stata sovraccaricata, ed ora richiede più di 100 megawatt.

Smari McCarthy del Partito Pirata, un partito politico contro le istituzioni entrato nel Parlamento islandese in seguito alla crisi finanziaria del 2008, ha proposto la possibilità di tassare i profitti generati con il mining di Bitcoin, affermando che queste compagnie stiano "generando valore" all'interno del paese.

A dispetto dei potenziali profitti, McCarthy non è ancora sicuro di cosa il mining di Bitcoin porterà all'Islanda:

"Consumiamo decine, se non addirittura centinaia di megawatt per produrre qualcosa che non esiste a livello tangibile, e non ha alcun utilizzo per gli esseri umani se non nel reame delle speculazioni finanziarie. Una cosa del genere non può essere positiva."

A dicembre del 2016, quando l'Islanda stava formando una coalizione alternativa in seguito ai risultati inconcludenti delle elezioni, il fondatore del Partito Pirata ha descritto la propria associazione come la più favorevole del paese alla legalizzazione del Bitcoin.