Secondo il CEO di Ripple (XRP) Brad Garlinghouse, la nuova moneta digitale sviluppata dal colosso bancario statunitense JPMorgan Chase "non coglie affatto il significato di criptovaluta".

Proprio ieri JPMorgan ha infatti svelato "JPM Coin": una nuova moneta che consentirà di migliorare l'efficienza di alcune tipologie di transazione. Poco dopo l'annuncio, Garlinghouse ha commentato su Twitter:

"Come previsto, le banche stanno cambiando opinione sulle criptovalute. Ma questo JPM non coglie affatto il significato di criptovaluta... introdurre un network chiuso oggi sarebbe come lanciare AOL dopo la IPO di Netscape. Sono passati due anni, ma nulla è cambiato: le monete bancarie non sono ancora la risposta."

Con quest'ultima frase, il CEO si riferiva ad un articolo da lui scritto due anni prima, nel quale criticava l'idea di valute digitali distribuite da banche. A suo parere infatti simili progetti sono errati e fuorvianti, e porteranno inevitabilmente "ad un panorama persino più frammentato di quello attuale":

"Se banche che utilizzano monete digitali differenti volessero effettuare transazioni fra loro, dovrebbero prima creare dei mercati per consentire il trading di tali monete, oppure scambiarle con una valuta fiat comune. Che confusione!"

JPM Coin verrà inizialmente utilizzata per incrementare la velocità delle transazioni fra grosse aziende: i metodi tradizionali, come ad esempio SWIFT, richiedono in molti casi più di un giorno. Si tratta pertanto di una tecnologia che opera nel medesimo campo di Ripple. "Quel che facciamo ogni giorno sta già di fatto sostituendo SWIFT", ha a tal proposito commentato Garlinghouse.

Un esperto dell'industria ha inoltre spiegato che "il progetto di JPM è molto più evolutivo che rivoluzionario: utilizza una tecnologia blockchain privata e permissioned, detta Quorum, più simile a Google Sheet che a Bitcoin. L'iniziativa è pertanto in diretta competizione con Ripple Labs e la loro criptovaluta centralizzata XRP."

Ma a differenza di Ripple, la criptovaluta di JPMorgan Chase è direttamente ancorata al valore del dollaro statunitense: questo potrebbe renderla più allettante per le grandi istituzioni finanziarie, che preferiscono non portare a termini i propri scambi con una moneta potenzialmente volatile.