Anche se gran parte del mining di Bitcoin (BTC) avviene ancora in Cina, stanno emergendo segni di uno spostamento altrove.
Chun Wang, co-fondatore di una delle più grandi mining pool di Bitcoin, F2Pool, ha segnalato che nel mese di aprile 2021 la Cina ha costituito meno della metà dell’hash rate di Bitcoin. Come sottolineato da Wang, è la prima volta in otto anni di attività che i miner cinesi rappresentano una minoranza dell’hash rate. “Il cambiamento è reale,” ha commentato.
“Per F2Pool, aprile 2021 è il primo mese in 8 anni di attività in cui abbiamo registrato più hash rate di BTC proveniente da fuori dalla Cina che dall’interno. Il cambiamento è reale.”
Here at @f2pool_official, in April 2021, the first month in our 8 years of operation, we have seen more $BTC hashrate coming from outside of China than from the inside. The shifting is real. https://t.co/nf2gBy62re
— Chun @ dogecoin.org (@BocaChicaDoge) May 3, 2021
Wang ha condiviso dati pubblicati il 22 aprile da Barry Silbert di Digital Currency Group, il quale ha rivelato che ad aprile Foundry, una mining pool di Bitcoin statunitense, ha raggiunto la quinta posizione tra le più grandi pool globali, conquistando una quota del 7,6% dell’hash rate.
“L’hash rate di Bitcoin sta rapidamente passando dalla Cina all’America del Nord,” ha affermato Silbert. La pool leader rimane attualmente AntPool, gestita dal produttore di hardware per il mining cinese Bitmain, con il 18,6% dell’hash rate totale.
L’Università di Cambridge ha calcolato che il dominio cinese nel mining ad aprile 2020 corrispondeva a circa il 65%. Commentando queste cifre a gennaio 2021, la pubblicazione sul mining di BTC Miner Daily ha stimato che all’inizio di quest’anno la quota della Cina è scesa al 55%, mentre quella degli USA è salita all’11%.
Il 30 aprile, Cointelegraph ha segnalato che in futuro le operazioni di crypto mining in Cina potrebbero affrontare normative più severe, contribuendo ulteriormente all’esodo dell’hash rate dal paese. Inoltre, di recente la Cina ha iniziato a esaminare il consumo energetico dei miner in considerazione dei suoi obiettivi climatici.
A fine febbraio, le autorità della regione autonoma cinese della Mongolia Interna ha proposto di chiudere tutte le strutture di mining locali per ridurre il consumo di elettricità. Quest’area rappresenta fino all’8% dell’hash rate globale.
In un articolo pubblicato mercoledì, il podcaster Marty Bent ha affermato che i dati di F2Pool sono la conferma di un trend nel settore del mining che vede la produzione di hash rate sempre più geograficamente distribuita.
Proseguendo, Bent ha aggiunto che questo aiuterà a eliminare parte del FUD secondo cui “la Cina controlla il mining”, relativo a un potenziale attacco al network da parte del governo cinese.
“È fantastico avere dati provenienti da pool cinesi che dimostrano la riduzione della percentuale di produzione dell’hash rate complessiva in Cina.”
Inoltre, anche il FUD legato ai consumi energetici e impatti ambientali di Bitcoin potrebbe indebolirsi man mano che sempre più attività di mining passano a fonti energetiche rinnovabili, soprattutto negli USA dove sono presenti regolamentazioni più rigide.
Secondo un report pubblicato martedì da Nasdaq, il Texas è diventato una destinazione ideale per le mining farm di Bitcoin grazie ai bassi costi energetici e alla prevalenza di fonti rinnovabili come eolica e solare.