Per uscire dal circolo vizioso che la crisi del COVID-19 ha generato nel sistema finanziario internazionale attraverso la sostanziale ibernazione economica dei Paesi coinvolti, le autorità politiche e finanziarie dovranno avere il coraggio di implementare delle misure in decisa controtendenza alle politiche monetarie ed economiche dell’ultimo decennio.

Questa tesi si basa su alcune conclusioni di politica economica elaborate da Keynes: la prima è relativa alla relazione diretta tra diseguaglianza sociale, calo della domanda aggregata e mancato smaltimento del sovrappiù (nel senso marxiano di smaltimento del mercato) e la seconda all’impiego della spesa pubblica per sostenere la domanda aggregata, colmando così il vuoto lasciato dagli investimenti privati.

Esattamente il contrario delle politiche rigoriste imposte soprattutto in Europa dagli assurdi vincoli dei trattati.

La vulgata comune vuole che lo Stato spenda prelevando “dalle tasche dei cittadini”, nella convinzione che la spesa pubblica sia finanziata dalle imposte e dall’emissione di titoli di Stato (raccogliendo così i risparmi
dei contribuenti). Ma è davvero così?

Keynes rovescia questa relazione e dimostra come in realtà sia la spesa pubblica a generare sia le entrate fiscali che i risparmi dei sottoscrittori dei titoli di Stato che finanziano i disavanzi.

Spesa pubblica, reddito = entrate fiscali + risparmi

Questo è il concetto “rivoluzionario” (anche se di rivoluzionario ha ben poco): spendendo, lo Stato genera le risorse che lo finanziano!

L’austerità espansiva, su cui si sono basate le politiche economiche europee degli ultimi anni, si è rivelata fallace. Infatti non ha prodotto il risanamento dei bilanci pubblici ma ha portato al crollo della domanda aggregata.

Sia chiaro, questo non significa che il debito pubblico non sia un problema. Infatti quest’ultimo va sempre confrontato con il PIL di un Paese, che ci dà la misura della capacità di un’economia di ripagarlo col tempo.

Il punto è che non esiste un “magic number” nel rapporto deficit/PIL come ad esempio il fatidico 60% dei trattati europei, sopra il quale debba scattare l’allarme rosso (altrimenti Paesi come Francia e USA con oltre
il 100% e il Giappone con oltre il 200% sarebbero a rischio default).

I fattori da considerare sono altri: che percentuale del debito è detenuto all’estero, il tasso d’interesse che uno Stato paga sul suo debito e il tasso di crescita del PIL.

Prendiamo ad esempio uno Stato che abbia un saldo primario zero o positivo (come l’Italia), che quindi attraverso le imposte riesca a coprire tutta la spesa pubblica a eccezione degli interessi sul debito. Il motivo
per cui lo Stato dovrà emettere nuovo debito è per pagare gli interessi sul debito pregresso.

In tale contesto si evince chiaramente come, se il tasso medio degli interessi sul debito è uguale al tasso di crescita del PIL, il rapporto debito/PIL non cambia.

Di questo avremmo bisogno in Italia, tassi sul debito molto bassi così da rilanciare la spesa pubblica per sostenere la domanda interna. Al contrario, negli ultimi anni i tassi d’interesse sono schizzati verso l’alto (i
famosi spread), costringendo i governi a surplus primari per destinare parte delle entrate al pagamento degli interessi invece che al sostegno della domanda, deprimendo così la crescita.

La crisi di liquidità innescata dalla diffusione del coronavirus rischierà di strangolare tutti i Paesi che devono fronteggiare le dinamiche appena descritte, nella considerazione che tutti i Paesi europei finiranno in
recessione e i rispettivi PIL in territorio negativo.

L’unico modo per salvare il sistema finanziario e l’attuale architettura europea è quello di un sostegno della Banca Centrale Europea con Quantitative easing illimitato (sarebbe auspicabile anche una modifica dei trattati che consenta alla BCE di operare sul mercato primario) così da proteggere i debiti pubblici più esposti da speculazioni finanziarie e potenziali downgrade, che avrebbero un effetto domino devastante sull’economia mondiale.

Questo consentirebbe ai governi di finanziare le spese emergenziali prima (attraverso politiche molto aggressive quali l’helicopter money) e per la ripresa poi attraverso l’emissione di debito pubblico, con l’obiettivo di sostenere la domanda interna spezzando così il circolo vizioso che altrimenti potrebbe portarci molto presto in una nuova stagflazione e, nell’ipotesi peggiore, in una depressione economica mondiale.

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