Le criptovalute, e in particolare Tether (USDT), potrebbero ricoprire un ruolo fondamentale nella recente fuga di capitali dalla Cina, stando alle conclusioni di un nuovo report pubblicato dalla società di analisi blockchain Chainalysis.
Il report afferma che oltre il 44% delle transazioni crypto in Asia orientale avvengono tra controparti all’interno della regione, rendendola “la cosa più vicina a un mercato autosufficiente” nel settore.
Tuttavia, nel corso degli ultimi 12 mesi, la quota relativa est-asiatica dell’attività crypto globale ha iniziato a diminuire, con più di 50 miliardi di dollari in criptovalute inviate fuori dalla Cina. Philip Bonello, direttore della ricerca di Grayscale, ha commentato:
“Sembra che gli utenti in molte regioni usino stablecoin per accedere a dollari statunitensi per stipendi transfrontalieri, rimessa e fuga di capitali da valute locali.”
Dal divieto di Pechino nel 2017 relativo alle conversioni dirette tra yuan e criptovalute, la stablecoin ancorata al dollaro statunitense Tether è diventata una popolare alternativa alla fiat per i trader nel mercato cinese.
Rispetto ad altre regioni, l’Asia orientale ha la percentuale più bassa di volume on-chain dedicato a Bitcoin (BTC), pari al 51% dei trasferimenti per volume. Il resto è composto da stablecoin, in cui USDT rappresenta il 93%.
Anche se le operazioni yuan-USDT sono tecnicamente proibite, i broker OTC continuano a vendere la stablecoin per consentire ai trader di bloccare profitti da operazioni crypto senza preoccuparsi della volatilità dei prezzi. A giugno, Tether ha sorpassato Bitcoin per diventare l’asset digitale più ricevuto dagli indirizzi est-asiatici.
Durante lo scorso anno, nel mercato dell’Asia orientale sono stati spostati più di 18 miliardi di dollari in Tether verso indirizzi situati in giurisdizioni straniere. Resta però difficile stabilire con certezza quanto questo rifletta un fenomeno di fuga dei capitali.
Gli analisti ritengono che la valutazione altalenante dello yuan nel corso dell’anno e le tensioni generate dal conflitto commerciale tra Stati Uniti e Cina potrebbero spingere gli investitori locali a eludere i controlli sui capitali. Pechino vieta ai cittadini di trasferire fuori dal paese somme superiori all’equivalente di 50.000$ l’anno.
Nel frattempo, il governo ha preso misure restrittive nei confronti dei metodi per spostare capitali offshore attraverso investimenti immobiliari esteri e altri asset, lasciando come possibile alternativa le criptovalute.
Altri fattori contribuenti includono l’incertezza sulle modalità in cui l’imminente criptovaluta nazionale di Pechino influenzerà il mercato degli asset digitali privati. Chainalysis suggerisce che questo potrebbe spingere la comunità crypto cinese a “spostare all’estero una porzione dei propri patrimoni.”
Dovey Wan, socia fondatrice di Primitive Ventures ed esperta sulla regione, ha commentato che, quando si tratta dell’approccio di Pechino alle nuove tecnologie, “le sfumature contano”:
“È importante che il presidente Xi abbia parlato di ‘blockchain’ ma non di ‘Bitcoin.’ Implica che lo yuan digitale sarà l’unica criptovaluta di stato ufficiale e smorza la visione delle crypto come asset privati.”
La politica statale cinese nei confronti delle crypto determina da tempo quali asset vengono usati dai trader e perché.
In un commento rilasciato all’inizio del mese, il presentatore americano Max Keiser ha dichiarato che le tensioni geopolitiche stavano stimolando la fuga di capitali dall’Asia, puntando però i riflettori su Bitcoin invece di stablecoin come Tether. “La fuga di capitali dall’Asia sta prendendo il Bitcoin Express,” ha spiegato mentre il prezzo dell’asset puntava al livello dei 12.000$.