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Il prezzo di qualsiasi asset viene determinato dalla legge della domanda/offerta. E da questo punto di vista, nell’attuale contesto storico, il bitcoin è messo piuttosto bene.

La domanda è in costante aumento e sempre più persone si avvicinano a questa nuova tecnologia, disposte ad acquistare bitcoin.

La domanda potenzialmente è destinata ad aumentare in modo esponenziale. Infatti meno del 10% della popolazione mondiale possiede BTC e lo scenario macroeconomico attuale, caratterizzato dall'attacco alla privacy dei cittadini/contribuenti e dalle politiche monetarie espansive delle banche centrali - che alimenteranno la spirale di inflazione e svalutazione delle principali valute a corso legale – favorirà un ulteriore aumento della domanda.

L'offerta al contrario è limitata. Oltre all’halving di maggio 2020, che ha tagliato la nuova offerta monetaria di bitcoin grazie al dimezzamento del block reward, dobbiamo considerare che una buona parte della circulating supply è letteralmente scomparsa dal mercato a causa dello smarrimento delle relative chiavi private.

In un simile scenario, il prezzo del BTC dovrebbe crescere in maniera costante e inesorabile, magari alternando fasi di rialzo paraboliche ad altre più “lente”, ma senza violenti ribassi a caratterizzare interi cicli di mercato.

In effetti dalla nascita del bitcoin fino all'inizio del 2018 è stato così (con la parentesi del bear market del 2014 innescato dalla bancarotta della piattaforma di scambio leader di settore pro tempore Mt Gox). La criptovaluta è cresciuta in modo costante, prima lentamente, poi più velocemente e infine ha raggiunto la sua acme alla fine del 2017.

Ma subito dopo qualcosa è cambiato, con l’inizio del crypto winter che ha caratterizzato il 2018.

Certo, il bitcoin in generale continua a mostrare segnali di forza e a garantire ROI molto interessanti, ma non come ci si aspetterebbe sulla base dei fattori fondamentali.

Cosa è successo alla fine del 2017? Per la prima volta i derivati hanno visto la luce sul mercato crypto. E da allora i volumi di questi strumenti finanziari hanno continuato ad aumentare, fino a raggiungere, si stima, circa il 30% dei volumi di scambio giornalieri attuali. E questo vale sia per i derivati regolamentati (i bitcoin futures alla Chicago Mercantile Exchange e sulla piattaforma Bakkt), che per quelli non regolamentati (BitMEX e soci).

Con i crypto derivati è possibile “violare” la legge di domanda/offerta. Infatti grazie a questi strumenti, non è più necessario possedere dei BTC per metterli in vendita.

Il 12-13 marzo 2020 su BitMEX, il tasso di scambio del bitcoin non ha raggiunto lo 0 solo grazie al crash della piattaforma. Allo stesso tempo è difficile credere che molti trader o investitori fossero disposti a vendere i propri bitcoin a 4.000 dollari. Ma grazie ai derivati (e alle leve spropositate spesso associate) è possibile mettere in vendita milioni di contratti (su BitMEX ogni contratto vale 1$) avendo solo poche decine di BTC nel proprio wallet. 

Su BitMEX posizioni da decine di milioni di dollari (in leva) sono la norma e questa dinamica può essere replicata su qualsiasi piattaforma di crypto derivati, generando dunque un’offerta artificiale.

I rappresentanti della finanza tradizionale e le autorità di regolamentazione finanziaria (SEC) già da diversi anni hanno fiutato il pericolo di un nuovo modello monetario deflazionistico a domanda crescente.

Infatti “stranamente” se da un lato abbiamo il completo ostracismo verso la nascita dei primi Bitcoin ETF, dall’altro assistiamo all’approvazione di ogni sorta di strumento derivato senza la benché minima obiezione.

La capacità di vendere allo scoperto BTC (dunque senza possederlo) con riserve di valute a corso legale potenzialmente illimitate, rende possibile agire direttamente sull’exchange rate del bitcoin. In tale contesto, dei periodici e inspiegabili ribassi producono il naturale risultato di ridurre l’appeal dell’asset e, di conseguenza, della domanda.

Pensate che stia esagerando? Guardate l’immagine seguente:

Estratto del Bloomberg Crypto Outlook (edizione aprile 2020)

Questo è un estratto del Bloomberg Crypto Outlook (edizione aprile 2020) e in uno dei sottotitoli leggiamo testualmente “I futures domano il bitcoin bull”. Con il “candore” tipico degli organi di informazione finanziaria, viene spiegato esattamente quello che abbiamo visto in precedenza.

Il concetto di fondo è palese: senza i crypto derivati, oggi avremmo il prezzo del bitcoin stabilmente con quattro zeri e senza dubbio sopra i massimi storici di dicembre 2017.

Ma attraverso i crypto derivati è possibile aumentare esponenzialmente l'offerta in modo artificiale, influendo in misura significativa anche sui mercati spot. Questo significa che i derivati ​​mettano fine alla crescita di BTC?

Ovviamente NO!

Possono rallentarlo, introdurre qualche elemento di instabilità, ma a fronte dello scenario macroeconomico derivante dalla crisi finanziaria innescata dal coronavirus, il bitcoin è semplicemente destinato a crescere.

I derivati ​​in generale, e i crypto derivati ​​in particolare, aumentano la volatilità dell'attività sottostante attraverso la speculazione, ma la domanda e l’offerta rivestono ancora un ruolo chiave.

Facciamo l’esempio del petrolio, recentemente balzato agli onori delle cronache per la volatilità estrema che ha portato i futures di maggio a scendere in territorio negativo il giorno prima della scadenza (con picchi di -30$), causando chiaramente un rollover di massa.

Ipotizziamo per assurdo che attraverso la speculazione si tenti di aumentare il prezzo del petrolio. Anche se si acquistassero importi spropositati di contratti futures sul petrolio, magari a spese del portafoglio illimitato della Federal Reserve, non si otterrà comunque l’effetto di stimolarne la domanda (senza considerare l’enorme problema di stoccaggio alla scadenza dei suddetti contratti).

Il mercato spot, regolato dalla legge di domanda/offerta, gioca ancora un ruolo primario e ciò vale anche per il bitcoin.

La crisi economica ha determinato un cambio radicale nelle policy monetarie dei governi e delle banche centrali e fiumi di liquidità per migliaia di miliardi di dollari sono stati iniettati nel sistema finanziario e nei mercati azionari. Più volte la Federal Reserve ha chiarito il concetto che immetterà tutta la liquidità necessaria a evitare il collasso del sistema.

Nessuno invece ha supportato in alcun modo il bitcoin e il mercato delle criptovalute, che però hanno reagito con lo stesso vigore (e in alcuni casi performando addirittura meglio) dei mercati azionari e delle altre asset class del sistema finanziario internazionale.

E il motivo è lampante: i drivers fondamentali (protezione dall’inflazione, salvaguardia della privacy) continuano a guidare la domanda di bitcoin. I crypto derivati possono rallentare questa dinamica, ma non certo modificarla.

E quando gli investitori si renderanno conto di quanto sia prezioso il bitcoin, sia in ottica di protezione dalla svalutazione che di remunerazione del capitale in un contesto di tassi d’interesse negativi, non ci saranno derivati che tengano. 

Anzi, in una fase caratterizzata da un impetuoso rialzo del sottostante (bitcoin) i derivati non faranno altro che amplificarne la tendenza.