Nonostante le recenti voci che suggeriscono il contrario, gli Stati Uniti non perderanno il loro appeal come crypto hub, secondo quanto affermato dall'amministratore delegato della società di analisi blockchain Merkle Science.
Negli ultimi mesi, una serie di azioni normative ostili nei confronti delle società di criptovaluta negli Stati Uniti ha indotto molti dirigenti del settore a rivolgere lo sguardo altrove.
Nonostante ciò, Mriganka Pattnaik, cofondatore e CEO di Merkle Science, ritiene che l'attività crypto rimarrà nel Paese, almeno nel medio termine.

"La mia opinione è un po' controcorrente, ma credo che tra cinque anni la maggior parte dell'attività sarà ancora negli Stati Uniti".

Pattnaik ha evidenziato che regioni come l'India, la Cina e gli Emirati Arabi Uniti vantino "forti mercati di consumo", ma che gli Stati Uniti presentano un livello di innovazione molto più elevato e un "pool di talenti più vasto".
Pattnaik ha anche indicato le "dinamiche generali del mercato" dell'economia americana – in particolare la chiarezza in materia di tassazione – come le ragioni principali per cui le aziende di criptovalute probabilmente sceglieranno di mantenere la maggior parte delle loro operazioni negli Stati Uniti.
Le recenti mosse delle autorità di regolamentazione statunitensi – in particolare della Securities and Exchange Commission contro le società crypto – hanno creato una narrativa di "innovazione" destinata a spostarsi all'estero. Sulla scia del crollo di FTX, l'amministratore delegato di Coinbase Brian Armstrong ha incolpato le normative poco chiare di aver allontanato "il 95% delle attività di trading" dal territorio statunitense.

FTX era un exchange offshore non regolamentato dalla SEC.
Il problema è che la SEC non è riuscita a creare trasparenza normativa qui negli Stati Uniti, per cui molti investitori americani (e il 95% delle attività di trading) sono andati all'estero.
Punire le società statunitensi per questo non ha senso.

Il 18 aprile Armstrong ha rivelato che Coinbase potrebbe prendere in considerazione la possibilità di trasferire la propria sede nel Regno Unito.
Pattnaik riconosce che le recenti politiche governative e le azioni esecutive contro Coinbase e Binance siano innegabilmente severe, ma tutto ciò è stato una "reazione eccessiva a quanto accaduto con FTX".
"Con il tempo, le acque si attenueranno e ci sarà molta più chiarezza negli Stati Uniti", ha aggiunto.

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Non sorprende che non tutti siano d'accordo con Pattnaik.
In un'intervista di Cointelegraph, il direttore generale di Binance Dubai, Alex Chehade, ha affermato che tutte le grandi società di criptovalute, in particolare quelle statunitensi, abbiano un disperato bisogno di una regolamentazione chiara e coerente.

"Non vogliamo che si crei una situazione in cui i pali della porta si spostano. Per le grandi aziende è necessaria la prevedibilità, la pianificazione e il budget".

Ad inizio anno, Brad Garlinghouse, CEO di Ripple, aveva affermato che l'industria delle criptovalute aveva "già iniziato a trasferirsi al di fuori" degli Stati Uniti, considerato che il loro approccio alla regolamentazione era rimasto indietro rispetto ad altre regioni favorevoli alle criptovalute come Singapore, gli Emirati Arabi Uniti e la Svizzera.
Il 20 marzo è stato rivelato che più di 80 aziende di tutto il mondo hanno richiesto una licenza per i servizi di criptovaluta a Hong Kong, nell'ambito dei rinnovati sforzi della regione nel diventare un hub leader del Web3.
Mesi dopo, il 1° giugno, Gemini, exchange di criptovalute di proprietà dei Winklevoss, ha annunciato di voler ottenere una licenza per i servizi crypto negli Emirati Arabi Uniti. Cameron e Tyler Winklevoss hanno citato "l'ostilità e la mancanza di chiarezza" sulla regolamentazione delle criptovalute negli Stati Uniti come motivazione della scelta.

Traduzione a cura di Walter Rizzo