Analizzando le varie misure adottate dai diversi Paesi nel tentativo di contenere il COVID19, è possibile porre una serie di domande che mirano a fare chiarezza sui fattori decisionali che influenzano una scelta piuttosto che un'altra.

Preparare un Paese alla riapertura non è cosa semplice: spesso le notizie che arrivano sono parziali e imprecise. Questo articolo vuole fare un passo indietro per provare a combinare differenti studi e ricerche al fine di proporre un possibile aiuto per una ripartenza sostenibile. Le notifiche in caso di esposizione aiuterebbero a informare della possibilità di contagio in tempo reale; lo speed testing aiuterebbe a intraprendere misure di isolamento immediatamente ove necessario; la decentralizzazione e la privacy contribuirebbero a incrementare la penetrazione dell'app Immuni.

Prendendo in prestito qualche dato, grafico, e analisi da worldometers.info, Tomas Pueyo, Oxford e altre fonti, ho provato a sintetizzare le informazioni disponibili in un ragionamento che può essere riassunto così:

  • il numero di morti a questo momento dell'anno è più alto del normale nella maggior parte dei Paesi europei e a New York (rispettivamente del 20-30% e del 500%). Pertanto l'informazione "molti dei morti per COVID sarebbero presto morti per altre cause" non sembra essere supportata dai dati. Le informazioni sono incomplete ed in continuo aggiornamento: un dato da tenere in considerazione è che molti Paesi riportano solamente le morti che avvengono in ospedale;
  • sarebbe possibile bloccare l'epidemia senza distruggere l'economia isolando immediatamente il 60% dei positivi già all'apparire dei sintomi, e successivamente tracciando e isolando immediatamente poco più del 50% delle persone con le quali i contagiati hanno interagito. Ogni Paese ha interpretato tale ipotesi in maniera differente, e questo ha determinato la forte disparità di azioni intraprese dai vari governi;
  • a prescindere dalle decisioni contenitive intraprese (lockdown totale, parziale, ecc.), questi fattori determineranno in futuro:
          1. la capacità di testare;
          2. la capacità di distanziare e isolare infetti e persone esposte a infetti;
          3. la capacità di identificare le interazioni sociali.

Partiamo dalla capacità di testare

La scarsa disponibilità di test ha influito fortemente sulla diversa percezione dell'impatto del virus. Avere un numero inadeguato di test ha comportato 1) il poter testare meno persone del necessario e 2) la necessità di dover scegliere chi testare. Un numero minore di test comporta poter esaminare soltanto chi ne ha più bisogno, incrementando quindi la percentuale di positivi rispetto a Paesi con una più alta disponibilità di test. Testare più persone incrementa invece il numero assoluto di casi.

Nel grafico sottostante, preso dalla ricerca dell'Università di Oxford, le curve ci ricordano come avviene la trasmissione del virus:

  • 5% da chi non mostra alcun tipo di sintomi;
  • 10% dall'ambiente (superfici, ecc.);
  • 40% da infetti che mostrano sintomi;
  • 45% da infetti prima che mostrino sintomi.

Fonte: Quantifying SARS-CoV-2 transmission suggests epidemic control with digital contact tracing. Luca Ferretti, Chris Wymant, Michelle Kendall, Lele Zhao, Anel Nurtay, Lucie Abeler-Dörner, Michael Parker, David Bonsall, Christophe Fraser

I punti all'interno delle curve spiegano invece quante persone vengono contagiate da un infetto in base al numero dei giorni successivi al contagio di un individuo: ad esempio, dopo cinque giorni una persona contagiata infetta 0,4 persone.

Il grafico che abbiamo appena analizzato tiene conto del caso ideale, cioè la capacità di poter testare immediatamente. Come sappiamo, in realtà non sempre questo avviene.

Questo rende ancora più evidente l'importanza di isolare gli infetti e le persone con le quale sono entrate in contatto.

Perché è importante testare e isolare immediatamente

Le immagini qui sopra ci aiutano a definire il significato di "immediatamente": un ritardo di soli 2 giorni comporterebbe la necessità di isolare il 70-90% degli infetti e tracciare almeno il 70-90% delle persone venute a contatto con gli infetti. Un ritardo di 3 giorni renderebbe praticamente impossibile fermare l'epidemia.

La prima necessità è quindi la capacità di testare immediatamente. Testando e isolando i sintomatici si ridurrebbe il tasso di trasmissione fino al 40%: rintracciando e testando le persone venute in contatto con i sintomatici si arriverebbe a ridurre i contagi fino all'85%, permettendo a ospedali di gestire i pazienti con relativa normalità.

Quindi, quante interazioni bisogna tracciare per contenere il tasso di trasmissione?

Il grafico sottostante, elaborato dal Centre for the Mathematical of Infectious Diseases - COVID19 working group, suggerisce che bisognerebbe immediatamente individuare il 90% dei contatti e isolare gli infetti per fermare l'epidemia. In questo caso, il risultato è proporzionale alle individuazioni: anche misure non perfette aiutano.

Sapendo di fornire numeri più indicativi che precisi, e utilizzando le stime di questo paper, tracciare il 70-90% dei contatti vorrebbe dire tracciare 20-30 persone per persona infetta.

Tracciare le interazioni senza chiedere dati aggiuntivi agli utenti sarebbe possibile utilizzando dati provenienti da carte di credito, GPS, telecamere di sicurezza, ecc. Però non abbastanza velocemente.

Secondo Andy Slavitt, Ministro della Sanità durante il governo Obama, sono richieste 4-5 persone per un periodo di 3 giorni per mappare le interazioni di una persona. Supponiamo che un Paese abbia 2.000 casi al giorno (il numero attuale in un'Italia in pieno lock-down): senza un sistema di tracciamento tecnologico ci vorrebbero 5*3*2.000 = 30.000 'controllori', senza considerare pause, malattie, ecc. (vi lascio fare i conti del costo). Anche decidendo di voler sostenere il costo, abbiamo detto precedentemente che tollerare un periodo di 3 giorni prima di identificare un sospetto infetto renderebbe qualunque misura di contenimento vana. Il tracciamento manuale non è quindi un'opzione.

Si potrebbero utilizzare i dati provenienti dagli operatori di telefonia mobile ma, sfortunatamente, questo sarebbe possibile soltanto se tutti i cellulari fossero associati ad un solo operatore: anche se gli operatori collaborassero, utilizzare gli operatori telefonici come fonte dei dati genererebbe tanti falsi positivi (immaginate di stare nella stessa posizione di chi abita sopra o sotto di voi - il telefono non traccia correttamente l'altezza).

La notifica in caso di esposizione, non il contact tracing, diventa quindi fondamentale: ecco dove la blockchain fa la differenza

L’argomentazione presentata fino a questo punto rende chiaro perchè l'attenzione debba essere focalizzata sull'implementazione e l'effettivo utilizzo dell'app di tracciamento delle interazioni. Pertanto la domanda non è se sia giusto o sbagliato: È UNA NECESSITÀ. La domanda è se un ente centrale (che sia l'app stessa e/o il governo) debba avere accesso a dati, specialmente dei non infetti. La risposta è NO, ma fortunatamente esiste una soluzione alternativa: utilizzare un sistema non centralizzato (decentralizzato, blockchain), che non riveli alcun dato in caso di non esposizione a un infetto. Dedicherò il prossimo articolo a spiegare la tecnologia in dettaglio: ora vorrei focalizzare l'attenzione sul perchè questa tecnologia andrebbe adottata.

Mercoledì mattina, appena sveglio (con il fuso orario di San Francisco), ho letto due articoli. Il primo riporta una dichiarazione (corretta) di Vittorio Colao, capo dell'attuale Task Force; il secondo riporta una dichiarazione (incorretta) di Paola Pisano, Ministra dell'Innovazione.

Tralasciando la vaghezza per niente sorprendente con la quale la Ministra definisce "una buona resa", è opportuno rivolgere uno sguardo alla penetrazione di applicazioni equivalenti in altri Paesi. A Singapore, l'applicazione ha raggiunto solo il 20% dei cittadini; in Islanda il 40%; in India il 4%. Anche pensando di fare molto meglio di questi Paesi, la penetrazione non sarebbe comunque sufficiente: in altre parole, non sarebbe possibile arrivare a tracciare velocemente quel 70-90% di interazioni.

Interessante la proposta presentata da Tomas Pueyo: se si passasse da un modello opt-in (nel quale l'utente deve scaricare l'app e inviare il risultato del test spontaneamente) a un modello opt-out (nel quale il telefono invia il risultato del test automaticamente a meno che l'utente non decida di bloccarlo) tramite un aggiornamento software da parte di Google e Apple, sarebbe ragionevole pensare di raggiungere un quota di utilizzo tale da fermare il virus.

Non c'è assolutamente nessun motivo per il quale un'autorità centrale debba avere accesso a dati degli utenti

Non serve ai fini di un miglior funzionamento dell'applicazione, non serve ai fini di ridurre la probabilità di contagio, non serve per garantire migliori trattamenti ospedalieri. Serve solamente che i telefoni sappiano con quali altri telefoni abbiano interagito ed è necessario che l'ente che effettua il test possa collegare il risultato del positivo al codice del telefono. Questo per un periodo di 2-3 settimane, magari anche un mese. Tutto il resto è assolutamente superfluo, incluse le promesse di cancellazione dei dati entro fine anno.

Siamo in una situazione di emergenza e non c'è tempo per permettersi negoziazioni: bisogna operare con buon senso, con spirito di squadra, con trasparenza su ciò che si conosce e ciò che non si conosce. I cittadini devono rendersi disponibili a collaborare, specialmente in un contesto nel quale l’attuale barriera all'adozione dell'applicazione è rappresentata dalla paura di dare via i propri dati personali, molti dei quali già in possesso di applicazioni utilizzate quotidianamente. D’altro canto, il governo ha la possibilità di dare un segnale di trasparenza e fiducia alla gente, senza compromettere alcun tipo di funzionalità se non un interesse personale che rende difficile non vedere secondi fini futuri (il 30 aprile l'Ungheria è di fatto entrata in una dittatura).

La forte speranza è che le due parti trovino il modo di collaborare: qualunque aumento nella penetrazione dell'utilizzo dell'applicazione vorrà dire un aumento delle vite salvate e una migliore ripresa dell'economia.

Un'ultima nota va al paragone con altri Paesi europei, principalmente con la Svezia: premesse le differenze nelle interazioni sociali, nel modo di testare, nell'età media e nell'attribuzione di una morte a una specifica causa tra nazioni come Spagna o Italia e i Paesi nordici, la Svezia ha un numero di morti che è del 30% maggiore rispetto all'Italia (per ogni milione di cittadini).

Questo è il primo di una serie di articoli che analizzano come la condivisione di informazioni tramite la tecnologia blockchain consentirebbe di limitare la diffusione del virus, mantenendo al tempo stesso un alto livello di anonimato per i cittadini.

Le idee e le opinioni espresse in questo articolo appartengono unicamente all'autore e non riflettono necessariamente il punto di vista di Cointelegraph.