Recentemente abbiamo letto o ascoltato le dichiarazioni su Bitcoin di Mario Draghi, presidente della Banca Centrale Europea (BCE), e del membro del Congresso americano Brad Sherman.
I punti di vista sono diametralmente opposti, in quanto Draghi ne ha sminuito la credibilità, chiedendo retoricamente “chi c’è dietro al Bitcoin?” e ponendo la questione dal punto di vista della protezione dei consumatori. Al contrario, Sherman ha dichiarato che costituisce una minaccia per la Federal Reserve e per la forza che le sanzioni internazionali possono esercitare su Paesi come l’Iran, portando quindi il Bitcoin ad un livello di potenziale rivalità nel caso in cui non venga estirpato sul nascere (“nip in the bud”).
La sostanza non cambia, vogliono fermarne l’avanzata e, nel caso di Sherman, renderlo totalmente fuorilegge. Perché?
La risposta è che gli strumenti della finanza tradizionale stanno cominciando a proporre Bitcoin fra le proprie offerte, rompendone progressivamente il tabù. Per i veterani in questo spazio si tratta di un interessante cambio di traiettoria: gli exchange di criptovalute hanno rapidamente conquistato i millenial più ricchi, sottraendoli con facilità al mercato degli investimenti ad alto rischio più tradizionali, ma meno performanti.
Pertanto, sebbene oggi limitato, il ruolo del Bitcoin è altamente strategico nel lungo periodo: perdere la partita del cambio generazionale è un rischio troppo elevato per qualsiasi attività finanziaria tradizionale. Come risultato, le banche dovranno offrire prodotti in criptovalute, o cedere il passo al rapido incalzare degli exchange di cui sopra.
La questione, a mio parere, non è tutta qui.
Come ho già sostenuto in passato, con Bitcoin si rende possibile, per la prima volta nella storia, una situazione di indipendenza tra Stati e banche. Il primo (lo Stato) è il titolare della “moneta sovrana” e ne protegge, con la forza se necessario, il monopolio. Ma la forza da sola non basta: ogni Stato ha bisogno dell’evoluto e capillare sistema di distribuzione bancario, a meno che non si voglia tornare al conio del Sesterzio. Le seconde (le banche) rappresentano oggi un pilastro dell’economia, specialmente nei meccanismi di credito. Ma nessuna banca può prestare denaro (e offrire guadagni ai suoi azionisti) senza che una moneta sovrana offra la piattaforma su cui operare.
Questo dualismo appare molto chiaro quando le cose smettono di funzionare: l’iperinflazione, problema nel quale lo Stato cessa di tutelare la ricchezza dei suoi cittadini, può danneggiare le banche in modo irreparabile, bloccando per anni ogni forma d’investimento e quindi di business.
Invertendo l’equazione, quando le banche hanno bisogno di “bail out” su larga scala, come quelli visti nel 2008, si verificano pesanti sconfitte politiche, movimenti sociali di dissenso, perfino il Genesis Block di Nakamoto. L’ingresso del Bitcoin nel portafoglio d’offerta dei grandi nomi della finanza può rompere questo dualismo, in quanto il protocollo offre un sistema peer-to-peer che funziona a tutti i livelli, non soltanto quello individuale.
In altre parole, l’invenzione di Nakamoto non è soltanto uno strumento che permette di trasmettere denaro in maniera disintermediata tra singoli individui, ma diventa applicabile ad intere organizzazioni e mercati. L’esempio portato da Sherman è nientemeno che negli scambi di petrolio. Leggendo tra le righe, si intuisce il timore che il Bitcoin possa muovere denaro tra corporation, banche, organizzazioni e perfino Stati oggetto di sanzioni, tagliando il ruolo d’intermediazione che il dollaro si è ritagliato fin dal termine della Seconda Guerra Mondiale.
Pertanto, alla domanda di Mario Draghi “cosa c’è dietro al Bitcoin?” possiamo rispondere innanzitutto cosa non c’è: la Federal Reserve e l’intera catena di potere finanziario che oggi tiene ben saldo il “metro”, l’unità di misura (il dollaro) con cui la ricchezza si muove attraverso le frontiere della finanza mondiale.
Quindi, come indicato da Sherman, chi sostiene il Bitcoin come strumento finanziario supporta metodi che aggirano questa leadership e favorisce i nemici degli Stati Uniti.
Tecnicamente il sistema è già pronto: da un punto di vista “individuale” i residenti venezuelani già ricorrono ai bitcoin per difendersi dall’iperinflazione di Maduro e aggirarne i meccanismi di controllo monetario, muovendosi fuori dai radar di qualsiasi banca locale che opera in collusione con il governo. In passato, si sono visti esempi simili con Cipro nel 2013 e in India nel 2016, quando fu attuata la sospensione delle banconote da 500 e 1.000 rupie.
Da un punto di vista “corporativo” l’operazione è esattamente la stessa (si tratta pur sempre di immettere un indirizzo e l’importo su un wallet software), e già si può contare su sistemi di escrow particolarmente efficienti, costi di trasmissione ridicoli su grandi importi e maggiore velocità rispetto ai metodi offerti da SWIFT.
Lo scenario è semplice da disegnare: le stesse banche che oggi offrono ai millenial le piattaforme di trading istantaneo su Bitcoin hanno già quanto serve tecnicamente per offrire meccanismi di pagamento e remittancies per corporations, con cambio istantaneo in valuta locale che evita del tutto il dollaro. Ovviamente, laddove lo Stato si rende incapace di porre un freno all’iperinflazione le aziende hanno la libertà di fare solo in parte quanto indicato sopra: evitare di cambiare l’intero importo, per trattenere uno stock di bitcoin laddove i costi associati al rischio di volatilità sono inferiori alla certezza dell’iperinflazione.
Tutti concordiamo che non si è ancora al punto indicato da Sherman, i volumi di scambio sono ancora ridicoli. Ma applicando semplici modelli di teoria dei giochi e moltiplicandone gli effetti dobbiamo dargli ragione: i millenial sono pronti a rischiare e sono ricchi (si veda quanto accaduto con le ICO), le banche non vogliono stare a guardare in quanto si ritroverebbero in dieci anni a perdere la partita con gli exchange crypto... e i governi che bloccando il Bitcoin rischiano di perdere consenso e appoggio finanziario dalle banche e i loro millenial.
Cito Nakamoto:
“We can win a major battle in the arms race and gain a new territory of freedom for several years.”
“Possiamo vincere una battaglia decisiva nella corsa alle armi e ottenere una nuova area di libertà [economica] per parecchi anni.”
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