Negli ultimi 15 anni, i social media hanno acquisito enorme popolarità: Facebook, Twitter e YouTube sono diventate aziende gigantesche. I social media hanno i loro vantaggi, come la connettività globale e basse barriere all'ingresso. Inoltre, offrono alle persone una piattaforma per esprimersi.
Tuttavia, negli ultimi anni nel settore sono emerse varie problematiche: basti pensare alla crescente aggressività degli utenti, alle informazioni false che vengono costantemente diffuse e alla censura. Eric Yang, fondatore e direttore esecutivo di Junto, start-up di social media decentralizzata senza fine di lucro, vede tre problemi principali nel panorama attuale.
Il primo dei tre temi citati da Yang riguarda la governance, che è essenzialmente l'entità incaricata del controllo e della gestione di una data piattaforma. Yang ci ha detto durante un’intervista: "Molte di queste società sono costituite come aziende a scopo di lucro, che hanno un obbligo fiduciario nei confronti dei loro investitori".
In sostanza, Yang ha chiarito come le società che stanno dietro i social media prestino molta attenzione alle loro azioni, dato che hanno un impatto diretto sulle tasche degli investitori. Questi giganti del web spesso attirano gli utenti con una piattaforma apparentemente gratuita, mentre in realtà vendono le informazioni e i dati delle persone per profitto. In sostanza, secondo Yang, le società dei social media pensano solo ai propri guadagni invece che al benessere degli utenti, persino sfruttandone le debolezze psicologiche.
Anche la centralizzazione è un problema. Secondo Yang, "per natura, non è sostenibile". Attualmente, sostiene il CEO di Junto, le imprese dei social media esercitano un potere enorme: esse di fatto controllano la realtà percepita da una grande fetta della popolazione globale, censurando i contenuti e manipolandoli, per non parlare di come gestiscono i dati.
Riassumendo i tre principali problemi dei social media, Yang ha osservato:
"Il primo è in realtà un problema di modello di business, e questo influenza il secondo, che è un design volutamente dannoso della user experience, che plasma il tipo di cultura digitale che vediamo. Il terzo è la centralizzazione della tecnologia e dell'informazione".
Nel corso degli anni sono state molte le startup che hanno lanciato social media decentralizzati, come DTube, alternativa a YouTube. La no-profit di Yang, Junto, ne è un altro esempio.
Negli ultimi anni, però, ci sono stati anche altri approcci al problema, che mirano a correggere l’ecosistema attuale piuttosto che a spostare le persone su altre piattaforme, ad esempio Discussion.app: con la soluzione blockchain di Telos, le informazioni degli utenti delle attuali piattaforme di social media vengono registrate attraverso blockchain.
L’ecosistema è irreparabile?
CT: Sembra che il problema non siano solo le piattaforme, ma anche il comportamento delle persone sui social media. A volte gli utenti non sono affatto gentili: che ruolo hanno i comportamenti umani in tutto questo?
EY: Noi riteniamo che il comportamento umano sia solo un sottoprodotto dell'ambiente in cui ci troviamo. Ovviamente ci sarà sempre una vasta gamma di reazioni: alcune persone saranno gentili e altre non lo saranno, ma si può fare qualcosa per spostarci verso la parte più positiva della gamma dei comportamenti umani ed è per questo che ci siamo concentrati sul ridisegnare gli aspetti fondamentali di gran parte della user experience a cui siamo abituati sui social media.
Ad esempio, nell’ecosistema attuale ci sono algoritmi che non fanno altro che rafforzare ciò in cui già si crede, creando un iper attaccamento alle opinioni e maggiori divisioni. Se questi algoritmi si limitano a mostrare contenuti altamente provocatori, perché è questo che spinge l’engagement, allora i toni si alzano.
Io credo che una piattaforma che utilizza modelli di design più rispettosi dell'uomo potrebbe ottenere risultati grandiosi nell'incoraggiare le persone ad essere più educate, più empatiche e ad avere discussioni più significative.
CT: I problemi dei social media possono essere risolti?
EY: Penso che si possano risolvere molte cose, tendo a essere ottimista. Penso che le tre problematiche che ho menzionato in precedenza possano essere risolte. Noi, in particolare, abbiamo creato questa fondazione no-profit per gestire il progetto: in tal modo, sin dall'inizio, abbiamo deciso di mantenerci coerenti con ciò che vogliamo fare, di modo da garantire che tutte le risorse vengano assegnate alla mission dell’azienda e non ad arricchire gli azionisti.
Poi c'è la questione del "social dilemma” e dell’ambiente cui siamo abituati: penso che anche questo possa essere risolto nello stesso modo, e cioè progettando una piattaforma con basi etiche. Infine, per quanto riguarda la censura, la privacy, la proprietà dei dati, e in generale i problemi di una tecnologia centralizzata, credo che questi problemi si possano risolvere con un approccio distribuito.
CT: Quali sono i problemi che non possono essere risolti?
EY: Penso che la questione della moderazione dei contenuti sia estremamente difficile, ed è evidente che oggi molte aziende centralizzate si trovano in difficoltà. Ci sono enormi spese per l'assunzione di personale, ed inoltre chi svolge queste mansioni spesso soffre di PTSD (disturbo post traumatico da stress) perché guarda più e più volte contenuti molto forti.
Inoltre, si è aperta una discussione filosofica piuttosto intensa: perché una società come Facebook, che non è rappresentativa della diversità del mondo intero, dovrebbe avere il potere di dettare ciò che miliardi di persone possono o non possono vedere? E perché noi, come individui, siamo disposti a rinunciare al nostro potere o addirittura siamo i primi a volercene sbarazzare? Alcuni sono arrivati a fare richieste simili al Congresso americano: più regolamentazione, più censura. La verità è molto soggettiva. La percezione e la prospettiva di ognuno è diversa, e penso che effettuare una moderazione dei contenuti in un contesto centralizzato sia impossibile.
Questa intervista è stata editata ed abbreviata per chiarezza.