Mentre Bitcoin (BTC) torna sotto i riflettori, spinto da alcuni tweet di una certa celebrità volubile, si riaccende il forte dibattito sul suo consumo energetico. La discussione è incentrata su una domanda apparentemente precisa: Bitcoin usa troppa energia?

La nozione di base del problema è chiara. Bitcoin protegge il suo network da potenziali acquisizioni ostili usando la Proof-of-Work (PoW), un processo che consuma quantità significative di elettricità a causa della potenza di calcolo richiesta. Ogni volta che questa discussione riemerge, riaffiorano anche le ormai ben note argomentazioni sia a favore che contro.

I critici sostengono che il consumo energetico sia semplicemente ingiustificabile. Negli ultimi anni, diversi report hanno stimato che il network usa la stessa quantità di elettricità di interi paesi come la Danimarca o l’Irlanda, per esempio.

Lo schieramento opposto afferma che il network potrebbe portare a un maggiore utilizzo delle fonti rinnovabili. Inoltre, precisano che il dibattito non prende in considerazione i consumi energetici delle alternative: non possiamo infatti valutare l’efficienza relativa di Bitcoin come mezzo per proteggere e scambiare valore senza confrontarlo al consumo energetico totale del sistema bancario tradizionale. Proprio come dovremmo abbandonare il parametro limitato delle emissioni di scarico per misurare l’impatto ambientale dei veicoli, i sostenitori di Bitcoin ritengono necessario un audit esaustivo sull’impatto ecologico della finanza tradizionale, inclusa tutta l’infrastruttura, gli edifici fisici, i trasporti e l’hardware che la supportano. Per finire, in secondo piano figurano altre alternative, tra cui i meccanismi di consenso come la Proof-of-Stake (PoS), l’approccio verso cui Ethereum si sta dirigendo.

È indiscutibile che il mining dei network blockchain consuma enormi quantità di energia. Questo fatto è particolarmente evidente mettendo a confronto i costi di produzione e circolazione delle valute fiat.

Secondo le stime, Bitcoin consuma ogni anno 123,77 miliardi di kilowattora, rispetto ai 2,64 milioni di kWh del denaro contante. Secondo il fondatore di Digiconomist, Alex de Vries, se Bitcoin diventasse la valuta di riserva del mondo la produzione energetica globale potrebbe raddoppiare.

Altri sostengono che eventualmente i miner graviteranno verso le regioni con i costi energetici più bassi, oppure diventeranno i compratori di ultima istanza di energia pulita. Resta da vedere se tale argomento reggerà a lungo termine, considerando il grado di regolamentazione nei mercati energetici, i costi fisici dei trasferimenti e le potenziali implicazioni per la sicurezza legate alla concentrazione dei miner.

Analizzare il costo opportunità

Tra tutte queste argomentazioni, l'idea confrontare i consumi energetici delle criptovalute con quelli del settore bancario tradizionale, o in particolare delle valute fiat, è relativamente recente. Tuttavia, i paragoni con i sistemi di pagamento tradizionali trascurano la differenza tra volumi di transazioni. Solo nel 2019, il network di Visa ha completato oltre 185 miliardi di transazioni, mentre Bitcoin ha elaborato 643 milioni sin dalla sua creazione. Inoltre, entità commerciali come Visa sono profondamente integrate nei mercati energetici, che in molti paesi sono fortemente regolamentati. Nei modelli mentali in cui i miner si spostano in massa verso nuovi mercati energetici, è molto probabile che i costi di ricollocamento (oltre alla resistenza degli operatori già insediati) non vengano considerati. Ancora una volta, queste tendenze non sono sorprendenti, in quanto i sostenitori delle criptovalute tendono a guardare al futuro con ottimismo, immaginando mercati che funzionano in modo più efficiente rispetto alla realtà.

Mettendo da parte le importanti implicazioni complicate del consumo energetico per la sicurezza delle blockchain, l’idea che i miner seguiranno i prezzi dell’elettricità più bassi non significa necessariamente energia più pulita, in quanto spesso più economico equivale a più sporco. Ancora più importante, l’ipotesi secondo cui eventualmente i miner passeranno a fonti rinnovabili ignora il costo opportunità dell’energia. Stando alla Energy Information Administration degli Stati Uniti, il consumo energetico globale aumenterà del 50% entro il 2050. L’insorgere di inaspettati requisiti computazionali legati a smart city o catene di fornitura integrate, per esempio, richiederà alla blockchain una maggiore efficienza energetica, mentre l’umanità dovrà fare attenzione agli obiettivi climatici.

Quindi, mentre i massimalisti di Bitcoin continuano imperterriti a sostenere che BTC è l’utilizzo migliore per l’energia, e mentre i sostenitori di Ethereum (sempre più vicino a un modello diverso, in parte a causa di preoccupazioni legate ai consumi energetici) credono di avere una soluzione a lungo termine, il pubblico generale potrebbe non essere convinto che le criptovalute (e i token non fungibili basati su tecnologie come quella di Ethereum) abbiano una risposta sostenibile alla domanda: quale sarà la scelta migliore per la società?

La blockchain sta iniziando a ricevere l’attenzione del mainstream, offrendoci l’opportunità di riformulare il problema in un modo comprensibile da tutti. Crediamo che i benefici della blockchain varranno il costo opportunità? Per quanto riguarda le memecoin sviluppate su blockchain basate sul mining (mode che appaiono e spariscono insieme al sentiment popolare e nuovi meme) e le numerose truffe e imitazioni emerse (imbarazzando i progetti seri nel settore), i tecnologi blockchain temono giustamente che il pubblico risponderà di no.

Tuttavia, se stiamo parlando dei benefici di nuove tecnologie blockchain che prendono seriamente l’utilizzo di risorse e aprono le porte a nuovi mercati come fece a sua volta internet, è una questione completamente diversa. In tal caso, il confronto corretto non include solo il costo opportunità di mantenere lo status quo della finanza ma anche dell’economia intermediata nel complesso.

Il problema non si limita al mining

Mentre il dibattito sull’efficienza delle criptovalute tende ad essere dominato dal tema del mining, le alternative ricevono meno attenzione. I protocolli basati su PoS aggirano la necessità del processo di mining modificando ciò che i malintenzionati rischiano di perdere cercando di falsificare transazioni. Nei sistemi PoW, questi partecipanti potrebbero potenzialmente perdere l’energia investita, ma su un network PoS perderebbero le criptovalute messe in staking. Tuttavia, anche questa soluzione solleva considerazioni sui consumi energetici.

Supponiamo che alcuni di questi staker siano exchange centralizzati. Il loro primo incentivo sarà il trading redditizio, non monitorare l’efficienza energetica della blockchain sottostante. A tale proposito, occorre considerare come le informazioni si diffondono tra i nodi. In genere, le blockchain più conosciute usano "reti gossip peer-to-peer" per comunicare: in poche parole, queste reti trasferiscono i dati sulle transazioni da nodo a nodo finché tutti i partecipanti li conoscono.

Tuttavia, il risultato è che lo stesso messaggio potrebbe essere inviato ripetutamente a nodi che l’hanno già ricevuto da altri, sprecando risorse. I protocolli che suppongono che la sicurezza e il volume di transazioni riusciranno ad attirare un numero sufficientemente grande di nodi per mantenere l’accuratezza, che siano nuovi protocolli basati su delegated-PoS, grafi aciclici diretti, soluzioni layer-two o ponti cross-chain, seguono la stessa ipotesi della PoW secondo cui le transazioni corrette verranno confermate e propagate ovunque servano tali informazioni all’interno del network.

Oltre il gossip

Tuttavia, se riusciamo a superare i limiti delle reti gossip, si apre un mondo completamente nuovo. Per esempio, i nodi delle blockchain Geeq usano una struttura hub-and-spoke per comunicare, al fine di trasmettere un insieme di messaggi minimo senza creare una struttura di potere centralizzata. Qualsiasi nodo onesto (e potenzialmente anonimo) può agire da hub per un blocco e comunicare con i nodi sulla lista di nodi attivi della blockchain (i nodi su spoke attivi).

A differenza di una rete gossip, in cui ogni nodo invia messaggi ad ogni nodo che lo circonda, quindi un particolare nodo potrebbe ricevere lo stesso messaggio più volte, questa struttura risulta in una comunicazione parsimoniosa, prevedibile e verificabile. Di conseguenza, l’uso di risorse è di gran lunga inferiore rispetto ai protocolli basati su PoW o PoS, portando i costi di computazione, banda larga e archiviazione per transazione a solo un centesimo di un centesimo, rendendo possibili i micropagamenti.

Inoltre, l’architettura blockchain del futuro dovrà essere multi-chain e flessibile, offrendo un insieme di parametri che possono essere regolati in base a requisiti specifici (tra cui velocità, throughput o sicurezza) di una determinata applicazione. Una blockchain più leggera e “più intelligente” avrà senza dubbio un impatto ambientale ridotto, ma sarà anche più facile da adottare, e potrebbe persino fornire l’infrastruttura sottostante per società più sostenibile.

Piccolo è bello

Un’applicazione promettente a tale proposito è il commercio di energia P2P. Attualmente, grandi fornitori distribuiscono energia elettrica a intere città attraverso reti centralizzate; tuttavia, le smart city del futuro potrebbero affidarsi a un sistema più flessibile di micro-reti. Per soddisfare il consumo locale, questi network di elettricità localizzati e autonomi userebbero principalmente risorse locali come generatori di energia o pannelli fotovoltaici.

La tecnologia blockchain è sempre stata un modo promettente per effettuare, convalidare e registrare transazioni di energia P2P, consentendo a chiunque nella micro-rete locale di diventare un produttore o un compratore di elettricità. Tuttavia, fino ad ora la tecnologia non è stata all’altezza della sfida. Per fare in modo che il mercato funzioni correttamente, deve essere possibile scambiare unità di energia a partire da qualche kilowatt, pari a un valore monetario di pochi centesimi. Tali transazioni sono impraticabili considerando gli attuali costi di transazione sulla blockchain. Quando le commissioni sono una frazione di un centesimo, però, questo ostacolo viene eliminato. A sua volta, questo consentirebbe alla blockchain di agire da base tecnologica delle smart city, permettendo a milioni di dispositivi Internet of Things come contatori intelligenti o pannelli solari di interagire fluidamente e interfacciarsi con wallet digitali, spesso senza interventi umani.

Per esempio, prima di andare al lavoro la mattina, potresti caricare il tuo veicolo elettrico usando l’energia raccolta da pannelli fotovoltaici installati sul tuo tetto. Più tardi potresti decidere di vendere l’elettricità inutilizzata ai tuoi vicini mentre sei in vacanza. Inoltre, sarebbe possibile creare regole di gestione della domanda sul network, definite da smart contract. Secondo il Natural Resources Defense Council, per esempio, il costo della “vampire electricity” consumata da dispositivi collegati a una presa ma inutilizzati ammonta a circa 165$ per famiglia, ovvero il 4,6% della produzione di elettricità residenziale totale negli Stati Uniti. Quindi, uno spazzolino elettrico lasciato sul suo caricatore verrebbe disattivato automaticamente dopo determinati periodi di tempo. Per aggirare le regole del network, dovrai pagare una piccola tassa compensativa, incentivando i produttori a soddisfare la domanda extra e scoraggiando gli utenti a sprecare energia.

Inoltre, sarebbe possibile sviluppare applicazioni basate su blockchain (applicazioni decentralizzate, o DApp) per garantire la tracciabilità dell’energia pulita. Quindi, quando acquisti elettricità, potresti controllare su un’app se arriva da una fonte sostenibile. Consentire al consumatore di prendere queste decisioni è possibile solo con la tecnologia decentralizzata, altrimenti gli intermediari sarebbero in grado di distorcere i mercati come vogliono. Con la crescita della coscienza ambientale in tutto il mondo, la tracciabilità potrebbe diventare uno strumento chiave per incentivare la produzione di energia rinnovabile.

Nuovi orizzonti in vista

Considerando le previsioni sul drastico aumento dei consumi globali di energia, è facile capire perché l’impatto ambientale della blockchain è diventato un argomento di discussione. Tuttavia, è anche importante non fare di tutta l’erba un fascio.

Oltre ad adottare un approccio comprensivo in merito ai consumi energetici della blockchain rispetto alla finanza tradizionale, dovremmo avviare un più ampio dibattito sui pro e contro netti della tecnologia per la società in generale. Per fare in modo che la blockchain realizzi il suo potenziale rivoluzionario, offra una base per le smart city e supporti le economie a basse emissioni, dobbiamo concentrarci sullo sviluppo di un’architettura blockchain più intelligente e più accessibile.

I punti di vista, i pensieri e le opinioni espressi in questo articolo appartengono unicamente all’autore e non riflettono o rappresentano necessariamente i punti di vista e le opinioni di Cointelegraph.

Stephanie So è un’economista, analista politica e co-fondatrice di Geeq, una società di sicurezza blockchain. Nel corso della sua carriera, ha applicato la tecnologia all’interno delle sue discipline specializzate. Nel 2001, è stata la prima a usare il machine learning su dati di scienze sociali presso il National Center for Supercomputing Applications. Più recentemente, ha svolto ricerche sull’uso dei processi di networking distribuiti per il settore sanitario e la sicurezza dei pazienti nella posizione di docente senior presso la Vanderbilt University. Stephanie è laureata presso la Princeton University e la University of Rochester.